‘Da 0 a 99 anni’, recitano alcune scatole di giochi da tavolo, e sembra un’esagerazione.

 

 

Eppure, per chi riesce a non perdere l’entusiasmo del proprio bambino interiore, è proprio così.
Uno sport nato per gioco può diventare un compagno di vita, adattandosi a ogni sua ‘stagione’ con la stessa leggerezza di una pedina che avanza, un po’ alla volta, sul tabellone.
Un gioco che negli anni difficili del secondo dopoguerra, ha offerto a un giovane la possibilità di esplorare l’Europa con i suoi sci, portandolo fino al sogno olimpico

Dal pendio davanti a casa, alle Olimpiadi

Una vita con gli sci ai piedi

Lino Zecchini,
Primiero san martino di castrozza

Categoria

marzo 2025

Testo e foto di Linda Scalet, video di Irene Fontana

Lino Zecchini,
96 anni
ex sciatore alpino olimpico

L’8 dicembre 1928, a San Martino di Castrozza, in via Val di Roda, Maria Zanetel e Valentino Zecchini accoglievano il loro primogenito, Lino.
Alcuni impiegano tutta la vita per scoprire ciò che li appassiona. Lui, fin da piccolo, ha riconosciuto nello sci la sua vera felicità.
All’epoca, il turismo invernale era ancora agli albori e lo sci alpino, così come lo conosciamo oggi, non esisteva. Ma c’era ingegno, si dava valore a quel poco che si aveva e ci si arrangiava come si poteva.

Lino,
dalla nascita ad oggi
Archivio Lino Zecchini
foto attuale di Linda S.

Ho messo ai piedi il mio primo paio di sci a due anni e non li ho più lasciati fino quasi ai novanta. Pensa a quanti chilometri ho percorso sugli sci! I primi me li aveva costruiti mio papà, ricavandoli da due scandole di legno. Non avevano lamine, ma ebbe la premura di curvarne la punta, scaldando il legno un po’ alla volta. Ho iniziato a sciare con mio cugino, proprio nel prato di fronte a casa. Gli impianti di risalita non esistevano ancora, ma la neve non mancava. Ci si batteva la ‘pista’ salendo a scaletta con gli sci, e una volta giù, si risaliva a piedi.
Na gran strusiada!
(Una gran fatica! ndr).

In quegli anni, in valle, era molto in voga lo sci di fondo: c’era una squadra agonistica, la Valcismon, e veniva organizzata una gara di grande rilievo, la Valligiani. Lo sci alpino iniziò a diffondersi solo una decina di anni dopo, a partire dal 1936, con la costruzione del primo impianto di risalita: la slittovia del Panzer, sull’Alpe Tognola. Fu uno dei primi impianti in Italia: una slitta di legno, azionata da un argano, capace di trasportare fino a 12 persone. Ma proprio quando il turismo invernale sembrava pronto a decollare, scoppiò la Seconda Guerra Mondiale.

Nel 1943 le truppe tedesche requisirono gli alberghi di San Martino e li trasformarono in ospedali per accogliere i feriti. Nel ‘45, ai soldati tedeschi successero gli inglesi e gli americani, che si trattennero per un anno. Lino, che lavorava all’Hotel Des Alpes, ricorda la permanenza degli inglesi dopo la fine del conflitto.

Ero entrato a fare parte dello sci club locale, lo sci club ‘San Martino’, che poi divenne ‘Crodaroi’. All’epoca non c’era l’abbondanza che c’è oggi: si viveva con pochi soldi, e questo significava anche avere poche opportunità. Fu grazie agli inglesi, che possedevano una Jeep, se io e altri 5 o 6 ragazzi della valle riuscimmo a partecipare alle gare organizzate in varie località del Trentino. In una di queste competizioni conobbi alcuni ragazzi della squadra del CAI di Monza, e senza pensarci troppo dissi loro: ‘Vorrei unirmi a voi per correre insieme!’ Accettarono senza esitazioni. E così, il giorno dopo, mi ritrovai già parte del loro gruppo!

Il tesserino di atleta di Lino,
VII Giochi olimpici invernali

Cosa provava mentre sciava?

Soddisfazione. Il gusto di viaggiare forte. Hai presente quella sensazione?
Prima di tutto, bisogna avere passione per lo sport che si pratica, perché allora non ci davano certo soldi!
Solo un piccolo ‘mancato guadagno’ di 1500 lire al giorno, ammesso che si fosse in giro per gare. Quando ho iniziato, lo sci era agli albori ed ero il più forte della località: mi sono fatto da solo. Ricordo che mi sceglievo i pali di legno da utilizzare in allenamento (una volta erano rigidi, mica flessibili come quelli di adesso) e li piantavo, dopo aver osservato come venivano sistemati nelle gare.

In seguito, grazie alle gare vinte con il CAI Monza, sono entrato nella squadra nazionale FISI. Viaggiavo sempre in treno, ma in terza classe, come gli operai. Partivo in autobus da San Martino fino a Feltre, poi prendevo il treno per Milano, con cambio a Padova. Stavo via anche un mese intero e mi portavo dietro tutta l’attrezzatura: tre paia di sci, zaino e valigia. Gli operai mi guardavano con gli occhi sgranati! Gli sci erano un lusso, avevo quasi paura che me li rubassero. Nel ‘54 abbiamo preso anche l’aereo per andare ai Campionati Mondiali di Åre, in Svezia. Con i soldi che ti davano, riuscivi a malapena a prenderti un tè, ma ho avuto la fortuna di girare tutta l’Europa, dalla Svezia alla Spagna. È stato bellissimo.

Può raccontarci come si è evoluto lo sci nel corso degli anni?
In che modo è cambiata l’attrezzatura?

Noi, intendo quelli della mia epoca, abbiamo fatto parte dell’evoluzione dello sci. Oggi sciare è molto più facile e sicuro, grazie ai materiali che sono cambiati enormemente. Una volta, persino nelle gare di discesa libera, al posto del casco avevamo solo un berretto di lana! Quando sono entrato in nazionale, la FISI ci forniva gli sci, sempre il modello nuovo. Ne ho provati di moltissime marche, soprattutto austriache: Kneissl, Kästle… Per gli scarponi, invece, ho sempre usato Nordica.
Ci mettevamo un’ora per riuscire a infilare i primi modelli!

È rimasto nella squadra nazionale dai 25 ai 30 anni, gareggiando nelle tre specialità: discesa libera, slalom speciale e slalom gigante. Se si consulta il sito della FISI, il suo nome figura ancora oggi nell’albo d’oro dei campionati italiani assoluti di discesa maschile e slalom, con medaglie d’argento nel 1954 e nel 1955. Ha attraversato l’Europa partecipando al campionato ‘FIS A’, quello che oggi conosciamo come ‘Coppa del Mondo’. Grazie a questi ottimi piazzamenti, ha guadagnato un posto ai campionati mondiali di Åre, in Svezia, nel 1954 e alle Olimpiadi di Cortina nel 1956. Queste ultime ce le racconta così.

Lino Zecchini insieme alle atlete austriache
alle Olimpiadi di Cortina del ’56
Nel mezzo, Regina Schöpf, argento nello slalom gigante.
Archivio Lino Zecchini

Le Olimpiadi sono la gara più importante. Durante un allenamento di discesa libera, mentre scendevo a 90 km all’ora, ho visto un puntino nero dietro una gobba. Era un atleta russo che stava risalendo la pista proprio nel bel mezzo dell’allenamento. Probabilmente era caduto e, anziché risalire da un lato, aveva deciso di farlo in mezzo alla pista mentre gli altri scendevano. L’ho investito in pieno e ho rischiato di farmi molto male… se potessi tornare indietro, gli tirerei il collo. Ho preso una botta tremenda e una commozione cerebrale. Non ero mai caduto prima. Il giorno della gara, sono partito con il pettorale numero 5, uno dei primi, perché avevo un punteggio favorevole. A 200 metri dal traguardo ero in testa con il miglior tempo, ma, non so come, sono caduto. Forse ero ancora scosso dall’incidente di pochi giorni prima… non lo so. Se non fosse successo, sono sicuro che sarei salito sul podio. Avrei dovuto gareggiare anche nelle prove di slalom, ma l’allenatore non me lo permise.

Tornassi indietro nella mia vita, rifarei tutto esattamente come l’ho fatto. 

Bisogna aver passione per ciò che si fa. Lo sci mi ha dato tanta soddisfazione. Amavo viaggiare forte. 

Lino,
con la divisa della Nazionale Italiana alle Olimpiadi di Cortina del ’56
Archivio Lino Zecchini

Dopo le Olimpiadi, si è conclusa la sua carriera agonistica.
Tornato a casa, ha assunto un ruolo di primo piano nella scuola di sci fondata a San Martino, diventandone direttore per sette anni. Durante questo periodo, ha esteso l’attività dell’istituto all’intera stagione invernale, anziché limitarla solo alle festività natalizie.
Negli anni ’60, San Martino di Castrozza si era affermata come meta di riferimento per gli appassionati di sci, con numerosi impianti tra cui spiccavano la seggiovia Colverde (poi trasformata in cabinovia), la funivia Rosetta, la telecabina Tognola, lo skilift Rosetta – sull’altopiano delle Pale di San Martino – e gli skilift Cusiglio e Fontanelle. È stato proprio in quel periodo che ha incontrato Clara. Pochi mesi dopo è diventata sua moglie, e oggi sono insieme da ben 60 anni. Nel 1964 e nel 1966 sono nati i loro figli, Heidi e Walter, diventati poi entrambi maestri di sci.

Con la scuola di sci siamo partiti da zero. Avevo sostenuto gli esami per diventare maestro durante il mio periodo in nazionale, ma finché gareggiavo non mi era consentito esercitare questa professione. Nel frattempo, Clara gestiva il nostro negozio di articoli sportivi, e successivamente le ho dato una mano. Ho messo subito gli sci ai miei figli: li ho portati in Tognola e li ho allenati personalmente. Ho anche ricoperto il ruolo di allenatore dello sci club, che nel frattempo si era unito ad altre società sportive locali, dando vita all’US Valcismon Primiero e San Martino. Ho partecipato a due edizioni degli Interski, congressi internazionali a cui prendono parte maestri di sci selezionati da tutto il mondo, organizzati ogni 4 anni nel paese che ospiterà le Olimpiadi. Ho rappresentato l’Italia nel 1962, sul Bondone, e nel 1983 a Sesto Pusteria, dove ho dimostrato la tecnica del corto raggio… pensa: ‘el perfetto ere mi!’

Tornasse indietro, cambierebbe qualcosa nella sua vita?

No no, rifarei tutto esattamente come l’ho fatto… compresa la moglie! (ride)

Che effetto le fa sapere che nel 2026 le Olimpiadi si terranno nuovamente a Cortina?

Se sarò ancora qui, andrò a vederle!

Speriamo non veda un altro russo in mezzo alla pista… Arzillo com’è, sarebbe capace di fargli pagare tutto ciò che non ha dato a suo tempo,
con gli interessi!

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