Cavalli e persone: un legame che nasce dal dialogo e dalla condivisione del tempo,

che aiuta a comprendere meglio se stessi e a comunicare con gli altri, rafforzando corpo e mente.

Tra crini e crinali

Sulle mie montagne, tra i miei sentieri, con il mio cavallo

SIMONETTA LOSS,
canal san bovo, valle del VANOI

Categoria

settembre 2025

Testo e foto di Linda Scalet, video di Irene Fontana

Simonetta Loss,
31 anni
Gestrice del centro di equiturismo “Wild Ranch Vanoi”.

L’argomento giusto.

Spesso, per trovare subito un punto d’incontro con qualcuno, basta scoprire ciò che lo appassiona. Così anche il carattere più introverso si apre, e ci si ritrova a parlare prima per minuti, poi per ore, di un unico argomento, senza accorgersi del tempo che scorre.
Se si parla di cavalli, è difficile non catturare subito l’interesse dell’ascoltatore: animali maestosi, dotati tanto di sensibilità quanto di forza, e di un fascino che resta impresso.
Siamo stati al Wild Ranch, nella Valle del Vanoi, per incontrare Simonetta Loss e scoprire con lei questa realtà unica e suggestiva.

Abbiamo scoperto che comunicare con i cavalli non è così diverso dal comunicare con le persone: imparare ad ascoltare, comprendere i segnali e porsi con rispetto aiuta a costruire un legame solido, fondato su collaborazione, fiducia e reciproco sostegno.
E, come in ogni aspetto della vita, tutto richiede tempo. Un bene che spesso dimentichiamo essere la risorsa più preziosa: l’unica che non torna, che non si può acquistare, ma solo spendere al meglio. Saper attendere il momento giusto, senza fretta, e vivere ogni istante con consapevolezza è la chiave per dare valore a ciò che facciamo.

È proprio in questa prospettiva che la storia di Simonetta, che scopriremo insieme nelle prossime righe, diventa un tempo ben speso, capace di lasciare spazio a importanti riflessioni.

Com’è nata la tua passione per i cavalli?
Non si tratta certo di un animale da compagnia comune, né facile da mantenere. Raccontaci com’è iniziato tutto: quando hai avuto il tuo primo contatto con questi animali, cosa ti affascina di loro e come sei arrivata ad acquistare il tuo primo cavallo.

Credo di essere stata quella bambina che chiedeva ai propri genitori di comprarle un cavallo. Ovviamente, quel cavallo non è mai arrivato. Crescendo qui in valle, non ho avuto molte occasioni per formarmi: non c’era una struttura competente né figure professionali che potessero insegnarmi a cavalcare.

La mia passione non era tanto per lo sport in sé, quanto per gli animali. Così, durante l’adolescenza, ho iniziato a montare cavalli di altri privati senza una vera tecnica. Successivamente ho avuto la fortuna di frequentare un maneggio nel bellunese, dove ho iniziato la mia formazione, ottenendo prima il brevetto di istruttore di base e poi quello di accompagnatore.
Il cavallo mi affascina per la sua maestosità, la potenza, la forza e la velocità. Ma lavorandoci ogni giorno, ho imparato a conoscerne anche la vulnerabilità: quanto possano essere fragili, soprattutto a livello emotivo, proprio come le persone.

È stato con Cora, la mia prima cavalla, che ho iniziato a comprendere tutto questo. Con lei credo di aver esplorato ogni sentiero della Valle del Vanoi, passando intere giornate in giro, cosa che non rendeva molto felici i miei genitori. Per me non c’era nulla di più bello che percorrere le mie montagne e i miei sentieri insieme al mio cavallo. Era il massimo.

E così, negli anni sei passata dall’ammirare questi animali da lontano, all’averli come fedeli compagni di vita. In che modo sei riuscita a trasformare la tua passione da semplice hobby in una professione?

Già prima facevo un po’ di attività: lavoravo nelle stagioni turistiche e organizzavo alcune lezioni con la mia cavalla. Poi, un po’ per sfida e un po’ a causa della pandemia nel 2021 – quando tutti i lavori erano precari e io non potevo più lavorare sugli impianti da sci – ho deciso di provare a vedere se riuscivo a suscitare interesse con quest’attività. E c’è stato un vero boom.

Non mi aspettavo una richiesta così grande, soprattutto da parte di famiglie. Stare con i cavalli fa davvero bene ai bambini.
E perché? Perché quando si monta a cavallo bisogna creare un vero team con l’animale. Così, bambini più introversi o timidi, o persone che stanno attraversando momenti difficili, in quel momento si concentrano sull’interazione con il cavallo, liberando la mente.

Alla fine della lezione, stanno meglio: sono più soddisfatti, più rilassati e rafforzano corpo e mente grazie all’attività fisica che comporta montare. Credo che il successo sia proprio dovuto a questo: la gente ha visto quanto bene fa stare a contatto con i cavalli e con gli animali nella vita quotidiana.

In questo percorso di studio e maturazione, hai incontrato delle figure in particolare che ti hanno ispirata o accompagnata?

Ho incontrato diverse persone che mi hanno ispirata durante questo lungo percorso, che è ancora in corso, e altrettante che invece non mi hanno per niente ispirata. Tra esperienze positive e negative, sono riuscita a formulare una mia idea e un mio approccio, sia per trasmettere questa passione attraverso l’insegnamento, sia per lavorare con i cavalli.

Come riesci a capire come sta un cavallo?

Fisicamente deve essere in buona salute: non deve apparire sofferente, magro o fuori forma. Mentalmente, un cavallo in difficoltà è spesso distratto, fatica a stabilire una connessione con te.

Pensa a qualcosa che tu hai imparato dai cavalli e a qualcosa che invece tu hai saputo dare a loro.

Secondo me, c’è una cosa in particolare che ricambiamo ed è il tempo: il tempo che loro mi dedicano e quello che io dedico a loro. I cavalli mi hanno insegnato a rispettare i loro tempi: il tempo per dar loro da mangiare, per pulirli, per lavorarli, per farli abituare alle novità. Io, a mia volta, dedico loro tanto tempo. Quello che ci lega e che ci ha insegnato a vivere insieme è proprio questo.

Al Ranch, che gestisce attualmente fino al 2030 e che è di proprietà del Comune di Canal San Bovo, ci sono numerosi esemplari. Ci racconta che alcuni sono di sua proprietà, altri appartengono a persone che non possono accudirli direttamente e trovano qui sia supporto nella gestione sia un vero e proprio rifugio, mentre altri ancora sono in fase di rieducazione.

Quali sono le razze di cavalli che troviamo al Wild Ranch?

La maggior parte dei cavalli che gestisco sono incroci.
Credo che, per rendere un cavallo adatto a questo lavoro e a questo ambiente, la cosa migliore sia crescerlo qui, all’aperto. In estate, i nostri puledri pascolano in malga, poi tornano e iniziano il lavoro. In questo modo sviluppano i “piedi” per percorrere le montagne, imparano a valutare dove possono camminare e, al momento della doma, sono molto più portati e preparati rispetto a quelli cresciuti in box. Questa è una grande differenza rispetto agli spazi in pianura o in città.

Ci sono cavalli più propensi al tiro, detti brachimorfi, robusti e massicci, e cavalli più adatti alla corsa, detti dolicomorfi, longilinei e nevrili. Qui cerchiamo una via di mezzo tra i due tipi, per avere cavalli adatti alle passeggiate: resistenti allo sforzo fisico ma robusti, con piedi forti.

Al momento qui al Ranch ho due pony e due cavalli adulti, mentre i puledri si trovano alla Malga Fossernica, dove c’è il mio compagno. Lì possono muoversi liberamente, mangiare l’erba e allo stesso tempo mi permettono di gestire meglio i cavalli adulti e i clienti.

Come riesci a gestire un ranch così grande? Al momento ospita tantissimi cavalli, quindi deve esserci un enorme lavoro dietro! Lo fai tutto da sola? Come si svolgono le varie stagioni?

La gestione del ranch la organizzo io. Fortunatamente, d’estate ho tre ragazze che mi aiutano con le lezioni e le passeggiate: sono ex allieve che sono diventate istruttrici. Due di loro fanno l’università e mi supportano nei momenti di pausa. La terza, che viene dalla Val di Fiemme, rimane da me 2-3 giorni a settimana e mi dà un aiuto più consistente. Per la parte più pesante, come i lavori fisici, la fienagione e l’uso del trattore, mi supporta il mio compagno Federico.

Devo pianificare ogni giornata nei minimi dettagli: inizio presto e finisco tardi. Alle 6:30-7:00 arrivo in maneggio e do da mangiare ai cavalli, somministrando fieno e mangime necessario. Poi pulisco box e paddock (i recinti esterni): su questo sono molto esigente, perché voglio mantenere il maneggio sempre pulito. Dopo un paio d’ore inizia il lavoro con gli addestramenti, le lezioni e le passeggiate. Mi fermo solo per un’oretta a pranzo, poi si ricomincia fino a sera, verso le 19:00. È un lavoro impegnativo.

L’estate è il periodo più intenso: dobbiamo far fronte alla maggiore richiesta da parte dei turisti, e i cavalli lavorano di più. In autunno il lavoro si alleggerisce un po’: i puledri rientrano in valle e si riprende l’addestramento lasciato in primavera. Le lezioni e le passeggiate continuano finché il terreno non ghiaccia.

L’inverno è invece più limitante: poche ore di luce e freddo intenso ci costringono a ridurre l’attività. È il periodo in cui il cavallo ha bisogno di risparmiare energie. I cavalli più anziani li mettiamo in stalla, mentre gli altri cerchiamo di lasciarli fuori, per rispettare le loro esigenze naturali e abituarli a mantenere una temperatura stabile senza sbalzi eccessivi.

Con l’arrivo della primavera, si ricomincia a lavorare. Per noi è come il “settembre” di rientro a scuola: riprendiamo le lezioni, il movimento e l’addestramento, dando il via a una nuova stagione di attività.

Al di là della fatica fisica – enorme, se penso a Simonetta, alta e magra, con un fisico da modella, e a tutte le attività che deve affrontare ogni giorno con carichi pesanti e mezzi ingombranti – c’è un aspetto fondamentale a cui spesso non si pensa: chi possiede e alleva animali non può mai staccare. Bisogna essere sempre presenti.

Quanto tempo ti richiede tutto questo? E se volessi concederti una meritata vacanza, come fai a portarti dietro tutti i cavalli? C’è qualcuno a cui puoi affidarli?

È dura lasciarli ed è dura non andare in vacanza. Questa è proprio la parte negativa di questo lavoro: bisogna esserci sempre, indipendentemente dalle condizioni fisiche o meteorologiche. Che ci sia il sole o la pioggia, bisogna dare da mangiare e pulire, punto.

Se magari una mattina volessi dormire un po’ di più, non posso. Tutti gli impegni sono organizzati in base ai loro tempi, ai tempi di gestione dei cavalli. Questo a volte mi crea un grande senso di frustrazione. Però, alla fine, il sorriso del primo bambino che viene a fare lezione mi ripaga e mi dà soddisfazione. Finché posso, resisto.
Alcuni giorni penso davvero di vendere tutto. Non riuscirei a fare a meno dei cavalli, ma magari un giorno potrebbero diventare solo un hobby. L’obiettivo è riuscire a ritagliarmi più tempo per me stessa e per la mia famiglia.

Chi sarebbe il tuo aiutante ideale? Cerchi dei requisiti particolari?

Sì, le ragazze che mi aiutano erano mie allieve, e questo è importante. Significa che hanno già visto come fare le cose e come gestire i cavalli; una di loro ha anche il proprio cavallo qui. Conoscono la mia filosofia e io conosco loro.

Ricevo molte richieste di lavoro, ma per farlo bisogna avere una certa conoscenza ed esperienza con i cavalli. Se fai lezione con me, posso capire se sei adatto a questo tipo di lavoro. Ho bisogno che questa figura mi dia una mano e mi faccia risparmiare tempo, non il contrario.

I cavalli di per sé, che tipo di cure richiedono?

A mio parere, i cavalli hanno bisogno di muoversi, quindi di avere uno spazio dove poter vivere liberamente. Non condivido l’idea di tenerli sempre in scuderia, dentro un box di 3×3 metri. Hanno bisogno di stare all’aperto e di socializzare, interagendo con i loro simili. Gestendo il maneggio in questo modo, otteniamo una maggiore collaborazione da parte loro rispetto a tenerli 24 ore su 24 in box.

Oltre a questo, i cavalli richiedono cure costanti, in particolare per quanto riguarda i piedi: è necessaria la presenza regolare del maniscalco e bisogna valutare se ferrarli o lasciarli scalzi, cosa che comporta dei costi. Ci sono anche le vaccinazioni obbligatorie, come quelle per tetano e influenza, e il Cogin test, da eseguire ogni tre anni per una malattia infettiva rara. Tutte queste cure hanno un costo e rappresentano una spesa fissa per la gestione dei cavalli.

Parliamo della tua figura come addestratrice, in che modo si costruisce un rapporto di fiducia e connessione con gli animali? Su quali aspetti emotivi lavori e come ci lavori?

Dobbiamo partire dal presupposto che i cavalli non hanno problemi: siamo noi a far ricadere il nostro stress su di loro. Quindi, quando mi arriva un cavallo che è stato mal gestito, devo ricominciare daccapo. È un po’ come un ragazzo che arriva alle medie senza aver avuto le basi alle elementari: bisogna ripartire dall’inizio, cancellare i meccanismi mentali instaurati e ricominciare come se fosse un puledro completamente sdomo.

La prima cosa che faccio è lasciarlo nel recinto e osservare il suo comportamento: capire se è introverso e sta per conto suo, o estroverso, che cerca o minaccia gli altri. Poi entro nel recinto, metto capezza e lunghina (la corda) e interagisco con lui. A volte inizio senza attrezzatura, ma successivamente devo usarla per spostarmi dal recinto al campo di lavoro.

Nel campo di lavoro inizio a comunicare con il cavallo attraverso esercizi semplici: girarlo alla corda, fermarsi, cambiare direzione. Sono attività che servono a catturare la sua attenzione e a capire se è disponibile a collaborare. Alcuni cavalli amano interagire con l’uomo, altri no, soprattutto se sono abituati al branco e sentono insicurezza nei miei confronti.

Con calma e chiarezza, il continuo provarci insegna loro che non sono un predatore e che possono fidarsi. Gli esercizi diventano progressivamente più complessi, fino ad arrivare all’addestramento da sella. Si fa una desensibilizzazione su tutto il corpo e una familiarizzazione con l’attrezzatura, così che il cavallo non abbia paura e sia tranquillo in ogni situazione. Gran parte del lavoro avviene da terra: una volta acquisita la fiducia, qualsiasi cavallo accetta i passaggi successivi.

Con i miei puledri, prima della doma al terzo anno, li porto fuori a mano, come si farebbe con un cane, e li faccio interagire con l’ambiente: macchine, persone, biciclette, moto, motoseghe, torrenti. Capiscono che nulla li può spaventare e questo li prepara a diventare cavalli più collaborativi e sicuri una volta iniziata la doma.

Deve esserci una crescita sia del cavallo sia del proprietario: io posso parlare una lingua con il cavallo, ma se il proprietario non la conosce, non riusciranno a comunicare tra loro.

Viola, 
allieva del ranch

Come fai poi a trasferire quello che tu hai insegnato al cavallo al suo proprietario?

Questi percorsi li faccio sempre accompagnando il proprietario. Deve esserci una crescita sia del cavallo sia del proprietario: io posso parlare una lingua con il cavallo, ma se il proprietario non la conosce, non riusciranno a comunicare tra loro.

Inizialmente lavoro il cavallo da sola, mentre il proprietario viene una volta a settimana e prova sia con i miei cavalli sia con il suo. Organizzo anche periodi più intensivi, in cui il proprietario può rimanere 2-3 giorni o addirittura una settimana. La tempistica è dettata sempre dal cavallo: non si può forzare nulla.

Con i puledri è più semplice, perché sono come un foglio bianco da scrivere. Con i cavalli adulti, invece, bisogna prima cancellare ciò che è sbagliato e poi riscrivere, quindi richiede molto più tempo e pazienza.

Il cavallo ha avuto un ruolo fondamentale nella storia delle zone montane, fungendo da principale mezzo di trasporto, strumento di lavoro e risorsa militare. Aiutaci a ripercorrere la storia e l’utilizzo che l’uomo ne ha fatto nel tempo.

In valle, il cavallo veniva tradizionalmente impiegato per il trasporto del legname, per trainare i carri e per arare i campi. È sempre stato un gran lavoratore, indipendentemente dall’uso che se ne facesse.

Oggi l’utilizzo è cambiato: per molti è un hobby, mentre per chi, come me, lavora con i cavalli, vengono impiegati in attività con i bambini o per passeggiate turistiche. Rimane comunque un mondo affascinante, strettamente legato alla montagna e alla sua storia.

Come descriveresti il rapporto tra il cavallo e la montagna?

La montagna è affascinante di per sé, e il cavallo è un animale magnifico… perché non unire questi due mondi? Percorrere le montagne a cavallo è un’esperienza unica. E se, alla fine del percorso, si arriva in un agritur con un bel piatto caldo di polenta fumante, salsiccia e formaggio… allora è il massimo.

Con i cavalli si può percorrere qualsiasi sentiero, o è necessario rimanere solo sulle cosiddette ‘ippovie’?

Domanda interessante. La montagna, di per sé, è già un ambiente insidioso, e portare un cavallo in montagna non è semplice. I cavalli sono animali “prede” e si spaventano facilmente, quindi è meglio evitare sentieri con troppi dirupi o tratti esposti. In un attimo, il cavallo potrebbe spaventarsi e rischieremmo entrambi di finire in un burrone.

Preferisco sempre percorsi più tranquilli: anche semplici tracce di sentiero vanno bene. Fortunatamente, in tutti questi anni sono riuscita a esplorare il territorio senza farmi male né far del male alla mia cavalla. Questo mi permette di conoscere bene quali percorsi siano consigliabili per cavalcare e quali, invece, è meglio evitare.

 

Comunicare meglio con i cavalli mi ha insegnato a comunicare meglio anche con le persone e ad avere un atteggiamento diverso.

La quota massima a cui ti spingi di solito? E il posto più lontano dove sei arrivata partendo dalla Valle del Vanoi a cavallo?

Di solito arrivo sui 2000–2200 metri. Una volta sono stata via tre giorni e sono arrivata fino in Val di Fiemme. Ho percorso due passi principali: il Passo Sadole all’andata e la Forcella Valmaggiore al ritorno.

Sono sentieri impegnativi, ma fattibili, e adatti esclusivamente a persone esperte, che sappiano gestire il cavallo e comportarsi correttamente in montagna.

E dove avete bivaccato durante questo viaggio?

Mi sono fermata in masi, anche di amici, così da poter lasciare la cavalla al sicuro durante la notte. Ero un po’ pazza, lo ammetto.

Quali valori cerchi di trasmettere a chi viene al ranch? Che siano bambini che vogliono imparare una nuova attività o costruirsi un po’ di fiducia, o adulti che hanno bisogno di supporto nell’addestramento del proprio cavallo.

Uno dei valori principali è sicuramente la conoscenza: se non conosciamo il cavallo, non possiamo interagire con lui nel modo corretto. Un altro valore è la comunicazione: usare lo stesso linguaggio significa creare un dialogo reale con l’animale.

Infine, c’è l’atteggiamento:il modo in cui chiediamo qualcosa al cavallo determina la sua risposta. Ho imparato anch’io moltissimo in questo senso: comunicare meglio con i cavalli mi ha insegnato a comunicare meglio anche con le persone e ad avere un atteggiamento diverso. 

E riguardo al futuro?

Sicuramente nel mio futuro ci saranno sempre i cavalli, anche se dovrò valutare in quale modalità. Mi vedo anche mamma, con una famiglia, e quindi non potrò dedicare tutto il mio tempo a loro. Alcune sfumature dell’attività dovranno cambiare, ma spero di poter contare ancora sull’aiuto delle ragazze o di altre persone, così da riuscire a far fronte a tutto.

Intanto continuo a formarmi, confrontandomi con esperti, soprattutto americani. Prendo le filosofie che mi convincono di più, come il metodo Parelli – un sistema di addestramento basato sulla comunicazione tra cavallo e cavaliere – e le adatto a ogni cavallo qui al ranch.

Se penso al primo aggettivo che mi viene in mente pensando a un cavallo, è “selvaggio” o “maestoso”. Lo stesso accade se penso alla montagna. Credo che ci sia un legame profondo tra loro, che va oltre la semplice connessione logistica o geografica: così apparentemente forti, eppure fragili.

Due aspetti che convivono anche in Simonetta, che, come il cavallo e la montagna, possiede una forza silenziosa ma inarrestabile, capace di lasciare un’impronta profonda su chi la incontra.

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